Che cos’è l’alleanza terapeutica: l’importanza della relazione sincera tra paziente e professionista

L’alleanza terapeutica è lo specifico rapporto che si crea tra terapeuta e paziente all’interno del setting di terapia. Poiché parleremo di un legame interpersonale che può essere davvero compreso solo se provato sulla propria pelle, leggere riguardo l’alleanza terapeutica potrebbe risultare più comprensibile a coloro che stanno affrontando o hanno terminato un percorso terapeutico, ma sarà sicuramente utile anche ai lettori che non hanno mai avuto l’occasione di iniziarne uno: l’alleanza terapeutica è un aspetto fondamentale della buona riuscita della terapia ed è importante conoscerne i vari aspetti, sapere come favorirla e quali sono i risultati che essa comporta.

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Che cos’è l’alleanza terapeutica

Quando inizia un percorso terapeutico, il paziente instaura con il professionista un legame che da quel momento sarà in costante cambiamento: esattamente come, al di fuori dello studio, due persone che iniziano a conoscersi si muovono in una diade relazionale portando loro stessi in essa (personalità, carattere, emozioni), anche la terapia si arricchisce di questo aspetto.

L’alleanza terapeutica è effettivamente una forma di arricchimento, che fornisce un ponte di connessione tra ciò che il paziente porta in terapia (cioè il suo vissuto, la sua personale esperienza) e gli strumenti di cui dispone il terapeuta (conoscenze, empatia ed esperienza pregressa). Così, tra terapeuta e paziente si crea questo legame che fa da cornice alla terapia, guidandola. Quando si va in terapia, infatti, non bastano l’impegno e l’applicazione di specifici strumenti, ma è necessario fidarsi l’uno dell’altro, per permettere la messa in atto di un lavoro cooperativo, fatto in due verso un unico scopo. Ecco perché una delle definizioni più note di alleanza terapeutiche è quella di Bordin, che ne evidenzia tre componenti:

  • il goal, cioè gli obiettivi terapeutici che devono essere concordati e stabiliti insieme tra clinico e paziente;
  • il task, ovvero la definizione di compiti reciproci all’inizio del percorso;
  • il bond, ovvero il legame vero e proprio che si costruisce tra i due attori del contratto terapeutico (paziente e professionista), fatto da fiducia e sicurezza.

Come le caratteristiche individuali influenzano l’alleanza terapeutica

Dunque, l’alleanza terapeutica si delinea come un legame tra due individui che interagiscono, partecipando attivamente a questo lavoro cooperativo. Ma la cooperazione all’interno del setting terapeutico presuppone altruismo, intersoggettività e metacognizione. Per questo motivo, affinché questo rapporto funzioni davvero, è necessario che sia il terapeuta che il paziente si impegnino a portare determinate caratteristiche nella relazione.

Per quel che riguarda il clinico, è necessario che egli sviluppi un atteggiamento genuino, quindi aperto e curioso, espresso dalla volontà di essere sé stessi nella relazione; inoltre, deve dimostrare congruenza, empatia e professionalità: è bene che il terapeuta sviluppi un buon grado di autoconsapevolezza e auto-accettazione di sé stesso, al di là dello specifico orientamento teorico-tecnico. Tutto questo permetterà di avere una buona base con cui iniziare un nuovo percorso terapeutico e anche un certo grado di flessibilità nell’utilizzo delle tecniche di intervento. Per farlo, il professionista può utilizzare tecniche specifiche, che consistono nel focalizzarsi sull’area di sofferenza del paziente, definendo insieme a lui ciò a cui è necessario apportare cambiamento (Focalizzazione), enfatizzando i vantaggi che questi obiettivi porteranno nella vita quotidiana del paziente (Evocazione) e pianificando come e quando raggiungere questi obiettivi (Pianificazione). Successivamente, sarà necessario monitorare l’alleanza terapeutica e rafforzarla quando vacilla. Di fondamentale importanza è l’atteggiamento empatico del terapeuta, volto a concentrarsi su ciò che riporta il paziente e sulla modalità (sia verbale che non verbale) con cui viene espresso. Il clinico può favorire l’espressione delle emozioni e dei bisogni motivazionali del paziente, normalizzando l’esperienza e mostrando un atteggiamento non giudicante e di accettazione, senza cadere nell’errore di accudire il paziente. Quando il clinico è in grado di rispecchiare l’esperienza emotiva del suo paziente, si producono sensazioni piacevoli che migliorano l’alleanza terapeutica.

Per quel che riguarda il paziente, invece, un buon indicatore della futura alleanza terapeutica è la sua consapevolezza della propria quota di responsabilità nel mantenere e poter risolvere il suo disagio: quando il paziente è consapevole del proprio potenziale nell’apportare un cambiamento in sé stesso, diventa più motivato a cambiare e il suo atteggiamento diventa più collaborativo, con la conseguenza di un netto miglioramento nell’alleanza terapeutica. In questo processo, il paziente deve essere aiutato dal terapeuta che ha il compito di monitorare il cambiamento, al fine di ridurre il drop-out terapeutico e di adattare l’intervento alle specificità della persona. Se invece il paziente si mostra resistente al trattamento, l’alleanza terapeutica risulta più scarsa: alti livelli di resistenza si ravvisano soprattutto in pazienti traumatizzati o semplicemente ostili, caratterizzati da stili interpersonali dominanti. Infine, il paziente è responsabile della qualità dell’alleanza terapeutica anche rispetto alla congruità con la quale racconta i suoi vissuti interiori: quando la narrazione del paziente è congrua per emozioni, linguaggio verbale e comportamento non verbale, l’alleanza terapeutica migliora. Questa connessione tra aspetti emotivi e cognitivo-verbali nei racconti del paziente, si basa su 4 pilastri: concretezza (del racconto e delle parole utilizzate), specificità (relativa alla quantità dei dettagli presentati), chiarezza (cioè il livello di comprensibilità) e immaginazione (quindi quando il linguaggio del paziente è evocativo).

Caso particolare è quello del lavoro con soggetti adolescenti. Infatti, l’alleanza di lavoro con ragazzi di giovane età può essere ostacolata più facilmente da diverse caratteristiche legate al paziente adolescente: la tendenza a negare o sottostimare le proprie problematiche e la necessità di un intervento, la sua motivazione al trattamento, una tendenza ad attribuire a cause esterne i propri problemi o la semplice opposizione a figure autoritarie. In questi casi, la prima cosa che il terapeuta deve evitare è rispondere con durezza o lasciarsi intimidire dall’atteggiamento del paziente. Invece, è necessario che venga disposto un atteggiamento contenitivo ma accogliente.

L’alleanza terapeutica per la buona riuscita della terapia

Ma perché è così importante instaurare una buona alleanza terapeutica tra clinico e paziente? La letteratura ha risposto ormai da molti anni, dimostrando che il grado di cooperazione e l’outcome terapeutico (cioè il risultato finale del percorso) sono fortemente correlati. Questo primo dato ci dimostra che è fondamentale mantenere un buon livello di alleanza terapeutica con il paziente, sin da subito e per tutto il percorso, poiché l’alleanza terapeutica rappresenta il fattore relazionale più importante per un buon outcome diagnostico. Inoltre, l’alleanza riduce anche il rischio di drop-out, cioè che il paziente lasci la terapia prima di raggiungere gli obiettivi previsti (senza quindi risolvere ciò per cui è andato in terapia in primo luogo).

Il terapeuta deve prendersi da subito cura di questa relazione. Il primo colloquio è orientato proprio a questo: creare una buona alleanza terapeutica. Eppure, secondo la letteratura, è il terzo incontro quello più decisivo: è il livello di alleanza raggiunto in questo momento che ha il valore più fortemente predittivo di tutto l’iter terapeutico. La letteratura evidenzia che i primi colloqui funzionano se non sono troppo strutturati: se i primi incontri sono troppo rigidi nelle procedure il paziente rischia di passivizzarsi e l’alleanza subisce un fallimento; viceversa, un colloquio eccessivamente poco strutturato genera confusione e riduce la motivazione al cambiamento.

Come già detto, però, l’alleanza terapeutica va monitorata durante tutto il percorso: come tutti i rapporti umani, anche quelli nel setting terapeutico possono incrinarsi o essere esposti a pericoli, ed è quindi responsabilità del clinico di mettervi mano al fine di aggiustare il tiro. Una tecnica per fare ciò è la chiarificazione, cioè domande volte a comprendere con maggiore chiarezza le affermazioni del paziente, talvolta riprendendone le parole: chiarificare lo stato emotivo del paziente permette di conoscere meglio le dinamiche dell’evento narrato.

In definitiva, possiamo ribadire l’importanza che una buona alleanza terapeutica ha sull’intero percorso terapeutico, per i suoi effetti a cascata sulla motivazione del paziente, la sua presa di responsabilità nel cambiamento e conseguenti esiti migliori perché più mirati all’obiettivo terapeutico. È bene ricordare a tutti i pazienti (e futuri tali) che l’alleanza può vacillare: in questo caso, non è solo responsabilità del terapeuta correggere e restaurare una buona alleanza, ma può essere molto utile a entrambi che il paziente espliciti le proprie sensazioni circa il legame con il terapeuta, così da affrontare il discorso e tornare insieme sui propri passi, per dare nuovamente respiro al percorso.

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Goal consensus and collaboration (Tryon, Winograd; Psychotherapy: Theory, Research, Practice, Training, 2001).

I sistemi motivazionali nel dialogo clinico. Il manuale AIMIT (Liotti, Monticelli; Raffello Cortina Editore, 2008).

Psychotherapy relationships that work II. (Norcross, Lambert; Psychotherapy, 2011).

Teoria e tecnica del colloquio in psicologia clinica e psichiatria (Stefano Ferracuti, Mario Biagiarelli; Pacini Editore, 2018).

The generalizability of the psychoanalytic concept of the working alliance. (Bordin; Psychotherapy: Theory, Research & Practice, 1979).

Theory and research on the therapeutic working alliance: New directions (Bordin; The working alliance: Theory, research, and practice, 1994).

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