Guida alla scoperta delle emozioni

“Le persone competenti sul piano emozionale – quelle che sanno controllare i propri sentimenti, leggere quelli degli altri e trattarli efficacemente – si trovano avvantaggiate in tutti i campi della vita, sia nelle relazioni intime che nel cogliere le regole implicite che portano al successo”.
Daniel Goleman

Arrabbiati, tristi, felici, sorpresi, annoiati… Le emozioni ci fanno sentire in tantissimi modi diversi, che influenzano i nostri comportamenti e, di conseguenza, la nostra vita in generale. Hai mai abbracciato la persona con la quale eri arrabbiata mentre sentivi la rabbia? Hai mai avuto voglia di fare battute divertenti o di raccontare una barzelletta mentre ti sentivi giù di morale? Probabilmente no. Vieni a scoprire perché attraverso la lettura di questo articolo: parleremo di cosa sono le emozioni, come si sviluppano, a cosa servono e cosa succede quando “non funzionano”.

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Che cosa sono le emozioni e quando nascono

Le emozioni sono qualcosa di complesso e onnipresente nella vita dell’uomo, per questo fin dall’antichità hanno suscitato l’interesse di filosofi, medici, psicologi e studiosi di vari ambiti. Già Aristotele ne parlava nelle opere “De Anima” e “Etica Nicomachea”, come anche Spinoza e Cartesio. Charles Darwin, durante gli studi sull’evoluzionismo, pubblicò “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali” (1872). Sigmund Freud, pur non pubblicando opere esplicitamente dedicate, parla delle emozioni come di un sistema di difesa dalla sofferenza psicologica che egli osserva nei pazienti durante i suoi studi sulle nevrosi. William James pubblicò “Che cos’è l’emozione?” (1884), dando l’avvio a una serie di teorizzazioni da parte di colleghi come Cannon, Schachter e Singer, Arnold, Lazarus, e molti altri, sull’origine delle emozioni. E siamo appena al Novecento! Le teorie prodotte dagli autori citati hanno posto le basi per gli studi condotti in epoca moderna, grazie ai quali oggi abbiamo un’idea molto più precisa (e scientifica) di cosa sia un’emozione.

Un’emozione è una reazione soggettiva a un evento saliente, caratterizzata da cambiamenti fisiologici, esperienziali e comportamentali (Alan Sroufe, 1996). Dunque, un episodio emotivo, per essere tale, necessita delle seguenti componenti:

  • evento scatenante, che è specifico per ogni emozione e può essere esterno (es. il comportamento altrui) o interno (es. un pensiero);
  • componente fisiologica (es. battito cardiaco accelerato);
  • componente esperienziale, ovvero la valutazione soggettiva che facciamo dell’evento scatenante (i pensieri e i sentimenti che suscita in noi);
  • componente comportamentale (es. l’espressione facciale specifica per quell’emozione o la spinta ad agire in un determinato modo).

Facciamo un esempio pratico: apriamo un pensile in casa per cercare qualcosa e salta fuori un topo (evento scatenante). Nell’immediato, il nostro corpo attuerà un’accelerazione del battito cardiaco e della respirazione, possibile sudorazione o tremori (componente fisiologica). Detestiamo i topi perché sappiamo che sono sporchi e portatori di malattie, e forse ci ricordiamo un episodio della nostra infanzia in cui c’erano topi spaventosi: un brutto sogno, uno familiare morso da un topo, aver visto un topo morto vicino ai cassonetti, ecc (componente esperienziale). In quel momento, senza rendercene conto, siamo ad occhi sbarrati, sopracciglia alzate e vicine, narici espanse e forse bocca aperta (espressione facciale tipica della paura). Ma soprattutto: facciamo un enorme balzo all’indietro e appena riprendiamo l’equilibrio filiamo via! (componente comportamentale). Abbiamo appena provato paura, una delle emozioni primarie, e tutto questo è accaduto in appena qualche secondo.

Emozioni primarie e secondarie

Lo psicologo statunitense Paul Ekman dedicò la propria vita allo studio delle emozioni umane, elaborando una delle più famose teorie a riguardo. Egli concentrò i suoi studi sulle espressioni facciali, in quanto veicolo principale per esprimere, riconoscere e comunicare emozioni. Attraverso una serie di esperimenti sull’argomento concluse che le emozioni sono universali: non dipendono dalla società, dall’etnia o dalla cultura di appartenenza, ma sono indistintamente comuni a tutti gli esseri umani (Ekman, 1972). Le emozioni universali che Ekman rilevò nei suoi esperimenti erano: Rabbia, Paura, Tristezza, Felicità, Sorpresa e Disgusto. Un secondo psicologo e autore, Carroll Izard, si basò sugli studi e sulle teorie di Ekman per approfondire e ampliare la conoscenza delle emozioni umane. Fu Izard a classificare le emozioni dividendole in primarie e secondarie nella sua “teoria differenziale delle emozioni”.

In questa teoria vengono “confermate” le sei emozioni fondamentali e innate teorizzate anche da Ekman, che Izard chiama primarie, ognuna delle quali presenta un suo profilo specifico in termini di sensazioni provate, strutture nervose sottostanti, funzione evolutiva, situazioni scatenanti, comportamenti evocati e, ovviamente, espressioni facciali. Dalla combinazione tra le emozioni primarie si sviluppano emozioni più complesse, le secondarie, che emergono nel corso dell’esperienza e della maturazione socio-culturale, e non sono quindi universali come le precedenti, poiché dipendono da fattori che variano da una cultura all’altra e da una società all’altra. Esempi di emozioni secondarie e complesse sono Invidia, Allegria, Vergogna, Senso di colpa, Nostalgia, Delusione, Noia, Gelosia, Speranza, Ansia e Orgoglio (Izard, 1977).

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Lo sviluppo emotivo

Secondo la teoria di Izard e di altri autori che ne condividevano la posizione innatista, le emozioni sono predeterminate, eppure non nasciamo già dotati del pacchetto completo: veniamo al mondo con la sola versione base del software emotivo e poi, un upgrade dopo l’altro, raggiungiamo una competenza emotiva completa. Alcune emozioni sono quindi presenti già dalla nascita, altre emergono nel corso dello sviluppo per assolvere a funzioni adattive, quelle cioè di permettere il miglior adattamento possibile del neonato all’ambiente.

Di seguito, le prime tappe dello sviluppo emotivo di un bambino.

  • 1-2 mesi: il neonato manifesta le emozioni negative e positive (interesse, disgusto, trasalimento) essenzialmente per comunicare i propri bisogni, quindi per scopi fisiologici piuttosto che sociali;
  • 3 mesi: il bambino comincia a rivolgere la sua attenzione verso le persone e gli oggetti: emergono allora emozioni derivanti da eventi inattesi (sorpresa) o reazioni a ostacoli (rabbia, paura);
  • 9 mesi: il bambino acquisisce una maggiore consapevolezza di sé e dell’ambiente che lo circonda e manifesta timidezza, vergogna e paura;
  • 2 anni: il bambino impara a mostrare ciò che prova, in accordo alle regole sociali, diventa quindi capace di esagerare, minimizzare, nascondere o simulare le manifestazioni emotive.

L'importanza delle emozioni

L’importanza delle emozioni risiede in primis nella loro funzione adattiva: ci permettono di valutare il pericolo e di agire di conseguenza, di comunicare e quindi di costruire relazioni e cooperare con gli altri, di adattarci all’ambiente circostante in continua evoluzione, di operare delle scelte in base alla valutazione dei fattori in gioco, e una serie di altre funzioni indispensabili.

Per fare la maggior parte di queste cose ci serviamo di quella che Daniel Goleman chiama Intelligenza Emotiva: la capacità di riconoscere, comprendere e gestire le proprie emozioni, nonché la capacità di riconoscere ed entrare in empatia con le emozioni degli altri. L’intelligenza emotiva consente alle persone di gestire lo stress, comunicare in modo efficace, entrare in empatia con gli altri, disinnescare i conflitti e superare le sfide. Sviluppare una buona intelligenza emotiva significa quindi essere in grado di costruire relazioni sane e forti, perseguire efficacemente i nostri obiettivi e far fronte a ostacoli e imprevisti. Goleman sostiene che l’intelligenza emotiva è composta di abilità che possono essere allenate e migliorate.

  • Autoconsapevolezza: quanto sei consapevole delle emozioni che provi.
  • Autoregolamentazione: quanto sei in grado di gestire le tue emozioni in modo che non si traducano in comportamenti indesiderati.
  • Motivazione: quanto sei motivato e, soprattutto, quali sono le emozioni che ti motivano, perché essere motivati dalla speranza di successo o dalla paura di fallire è ben diverso!
  • Empatia: quanto comprendi le emozioni altrui.
  • Abilità sociali: quanto riesci a comunicare efficacemente, collaborare con gli altri, gestire eventuali conflitti, ecc.

Queste capacità sono essenziali, poiché contribuiscono a un processo decisionale efficace, alla risoluzione dei problemi e alle relazioni interpersonali, cose senza le quali non potremmo vivere serenamente. Ci sono tuttavia dei casi in cui le emozioni, in particolare la loro percezione o regolazione, risultano alterate a causa di disturbi: è il caso dell’alessitimia o dei disturbi dell’umore.

L’alessitimia si caratterizza dalla difficoltà nel riconoscere, esprimere e distinguere le diverse emozioni e sensazioni corporee: il termine deriva dal greco a- «mancanza», lexis «parola» e thymos «emozione», dunque mancanza di parole per esprimere il proprio stato emotivo. A primo impatto potrebbe sembrare una condizione meno grave di quel che è: potrebbe venirci in mente, ad esempio, una persona che manifesta poco le proprie emozioni, mentre il concetto di alessitimia fa riferimento alla capacità di regolare i propri stati interni, tollerare le emozioni negative compensandole con quelle positive senza ricorrere a stimoli esterni (persone, luoghi o oggetti familiari), azioni comportamentali disfunzionali (mangiare, assumere sostanze, compiere atti autolesionistici). Questo produce fenomeni sregolati e il soggetto alessitimico fatica a riconoscere i suoi processi fisiologici interni: se ha fame, se ha sonno, se il suo livello di benessere è sufficientemente adeguato, e via dicendo. Vi è, dunque, una compromissione della vita a tutto tondo.

Nei disturbi dell’umore, lo stato emotivo è caratterizzato, invece, o da variazioni repentine e profonde, come nel Disturbo Bipolare, o da unipolarità e persistenza, come nel caso della Depressione Maggiore. Nel primo caso si alternano, ad esempio, periodi in cui gioia, allegria, speranza ed euforia la fanno da padrone, a periodi in cui lo stato emotivo è caratterizzato da tristezza, paura, rabbia, noia e delusione. Si tratta di linee generali, che non necessariamente sono le stesse per ogni persona affetta da disturbo bipolare, come da nessun altro disturbo: la nostra unicità risiede anche nel nostro “assetto emotivo”, sia questo funzionale o patologico.

È opportuno ricordare che l’umore di una persona, anche in situazione di benessere, presenta delle oscillazioni fisiologiche che dipendono da parametri psicobiologici, da stimoli del mondo esterno o da contenuti del mondo interno. Se però notiamo che le nostre emozioni interferiscono con la nostra quotidianità e con il nostro benessere, è il caso di rivolgersi a un professionista e approfondire l’argomento.

Esiste un’intera branca della psicologia dedicata alle emozioni, su cui si fonda il giovamento che la psicoterapia può offrire a chi soffre di uno dei disturbi menzionati o semplicemente a chi riscontra problemi nella gestione delle emozioni, proprie o altrui. Essendo l’emozione legata al modo in cui sentiamo e percepiamo, nessun cambiamento è possibile se non entriamo in contatto con esse. È importante scoprirne il significato e, per questo, in psicoterapia, ci si occupa spesso di psicoeducazione emotiva, di integrazione tra emozione e pensiero, di gestione delle emozioni e di molti altri aspetti legati all’emotività.

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Bibliografia

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Goleman, D. (1995) Emotional Intellegence, Bantam Books, New York Ed.

Goleman D. (2005) Intelligenza emotiva. Che cos’è perchè può renderci felici. Bur. Psicologia e Società.

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