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La teoria dell'attaccamento
Come il rapporto con i genitori influenza le relazioni da adulti?
La capacità di creare relazioni è stata uno dei principali oggetti di studio della psicologia dello sviluppo. Nello specifico, l’attenzione si è concentrata in modo particolare sul primo legame affettivo del bambino. Questa relazione viene comunemente denominata attaccamento e può essere definita come un legame di lunga durata, emotivamente significativo, con una persona specifica. L’oggetto di tale attaccamento è generalmente un genitore che ricambia i sentimenti del bambino, creando così un legame che può essere estremamente forte e significativo dal punto di vista emotivo per entrambi. Le esperienze che si vivono nel corso della vita, compresa la relazione con le figure genitoriali, possono influenzare in modo incisivo le relazioni, anche in età adulta. In questo articolo, analizzeremo i diversi stili di attaccamento e il ruolo che le esperienze dell’infanzia hanno nel modo in cui ci relazioniamo con gli altri.
Che cos’è l’attaccamento
Il comportamento di attaccamento è il mezzo attraverso il quale il bambino esprime i propri sentimenti per l’altro. La ricerca della vicinanza è il fulcro dell’attaccamento: è più esplicita nel bambino piccolo e, anche se con il tempo il bambino esprimerà una serie più complessa di emozioni, sentimenti, atteggiamenti e convinzioni, tenderà per molto tempo a sentire il bisogno di contatto fisico con il genitore. Il bambino, in quanto indifeso e immaturo, ricerca nel genitore sicurezza e protezione e, grazie a questa vicinanza, inizierà a esplorare l’ambiente circostante sapendo che potrà tornare nel suo “porto sicuro” in caso di incertezza o pericolo.
Inizialmente il bambino tende a sviluppare il legame con la madre, ma, nel giro di poco tempo, il legame di attaccamento si svilupperà anche nei confronti del padre. Naturalmente, gli adulti significativi dovrebbero essere in grado di aiutare il bambino a gestire e regolare pian piano le sue emozioni e i suoi sentimenti. Questo non significa che bisogna essere “perfetti” affinché un bambino sviluppi un legame di attaccamento, ma il grado di sintonizzazione con il bambino influenzerà la qualità del legame. Il bambino non sempre è capace di tollerare il dispiacere e la frustrazione e sarà compito della mamma e del papà trasmettergli fiducia nella possibilità di superare quella difficoltà.
Il discorso vale anche per i sentimenti d’amore e le forti eccitazioni; questi vengono percepiti principalmente a livello corporeo e solo con il tempo saranno traducibili sul piano del pensiero. È per questa ragione che la vicinanza affettiva delle figure di riferimento gioca un ruolo rassicurante. Talvolta accade che alcuni eventi, improvvisi o prevedibili, come la morte di un genitore oppure una separazione tra coniugi o ancora una depressione post-partum, influenzino negativamente la capacità dei genitori di sintonizzarsi con il proprio bambino, il quale percepisce la loro indisponibilità e, in qualche modo, vi si adatta.
Gli stili di attaccamento
Fatte queste premesse, è possibile delineare diversi stili di attaccamento: sicuro, insicuro/evitante, insicuro/resistente e insicuro/disorganizzato. Per la definizione di queste tipologie sono stati effettuati degli esperimenti nei quali i bambini venivano sottoposti a una serie di stress moderati per poter mettere in risalto i sentimenti che manifestavano nei confronti del genitore. La procedura comprendeva alcuni episodi che avvenivano all’interno di una stanza non familiare al bambino e che fornivano l’opportunità agli osservatori di descriverne il comportamento con la madre (o con un’altra figura di attaccamento), dopo l’arrivo di un adulto estraneo, lasciato solo con l’adulto estraneo, lasciato completamente solo e dopo il ritorno in stanza della madre. Ciascun episodio aveva la durata di circa tre minuti, anche se quest’ultima poteva essere diminuita nel caso in cui il bambino si mostrasse troppo turbato. È stato analizzato il modo in cui il bambino reagiva allo stress complessivo e l’uso che faceva della madre quando era presente, soprattutto nei momenti di ricongiungimento dopo uno degli episodi di separazione. È così che, sulla base delle reazioni dei bambini, si sono delineate le categorie di attaccamento.
Il bambino con un legame di attaccamento sicuro gioca serenamente quando la madre è vicina, non ha bisogno di controllarne continuamente la presenza, la utilizza come base sicura a partire dalla quale iniziare a esplorare l’ambiente e mostra un interesse positivo nei confronti di persone estranee. Il bambino insicuro/evitante è poco influenzato dalla vicinanza o dalla lontananza della madre e la ignora quando vengono riuniti dopo una separazione, resiste attivamente quando si tenta di confortarlo e accetta altrettanto prontamente l’attenzione dell’estraneo o della madre. Il bambino insicuro/resistente mostra di avere invece molte più difficoltà in una situazione estranea, si tiene abbracciato alla madre e non esplora l’ambiente. La separazione lo turba molto e una volta di nuovo con la madre manifesta un misto di ricerca e resistenza al contatto. Infine, il bambino insicuro/disorganizzato è ipervigile e oscilla tra la ricerca del conforto e un allontanamento incoerente e imprevedibile.
L’influenza degli stili di attaccamento sulle relazioni adulte: i modelli operativi interni
Man mano che i bambini diventano capaci, verso il secondo anno d’età, di avere una rappresentazione del mondo, sviluppano anche un modello di sé stessi, delle persone importanti che li circondano e delle relazioni che hanno con queste persone. Tali modelli si definiscono, appunto, modelli operativi interni e fungono sempre più da guida delle azioni del bambino: lo mettono in condizione di anticipare il comportamento dell’altro e di pianificare un’adeguata linea di risposta.
I modelli operativi interni vengono costruiti sulla base dell’esperienza vissuta rispetto alle figure di attaccamento e rispecchiano la qualità della relazione con queste persone. Una volta formato, il modello si impone come base delle nuove interazioni ma, qualora l’esperienza smentisse ripetutamente le aspettative del bambino (perché, per esempio, la qualità della relazione con la madre peggiora o migliora notevolmente), i modelli dovranno essere rivisti e riformulati.
Ad esempio, nel caso precedentemente illustrato, il bambino con un attaccamento insicuro/evitante sarà probabilmente un adulto che difficilmente riuscirà a instaurare relazioni profonde. È presumibile che queste ultime rappresentino paradossalmente una minaccia per la propria sicurezza e, dunque, sarà più prudente intrattenere relazioni superficiali e meno intime sul piano emotivo. La figura di riferimento, e quindi magari un partner, viene percepita come rifiutante, assente e addirittura ostile. Queste persone, avendo aspettative negative nei confronti dell’altro e della relazione, tenderanno a difendersi evitando contatti eccessivi, oppure mantenendo contemporaneamente più relazioni in modo tale che nessuna di queste potrà essere davvero significativa. Anche la sessualità può essere vissuta in modo distaccato e con poco coinvolgimento.
Ciò nonostante, lungo tutto il corso dello sviluppo e finanche in età adulta, le informazioni che riceviamo dall’ambiente possono influenzare in modo incisivo i nostri modelli operativi interni e, dunque, le nostre relazioni. Tutte le esperienze di socializzazione divengono poi fondamentali per arricchire i modelli: la scuola, le amicizie, la pratica sportiva, le relazioni amorose e, non meno importanti, le relazioni terapeutiche laddove si intraprenda un percorso di psicoterapia.
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Prima di concludere, cerchiamo di comprendere in che modo la relazione terapeutica può rappresentare una sorta di “seconda occasione”. Le ragioni sono molteplici.
Innanzitutto, parliamo di una relazione diadica che, in quanto tale, tenderà a instaurarsi sulla base dei modelli operativi interni di ciascuno. Ad esempio, una persona con un’idea di sé svalutante entrerà in relazione diversamente rispetto a una persona che ha un’idea grandiosa di sé. Il terapeuta, però, a differenza di altri, è in grado di riconoscere quei modelli, di aiutare la persona a prenderne coscienza e di proporre nuove modalità di relazione e di interazione. In questo modo, si stabilisce pian piano un’alleanza tra terapeuta e paziente e si costruiscono quindi un linguaggio comune e un rapporto di collaborazione/cooperazione e fiducia. L’alleanza poggia le basi su una capacità intrinseca dell’essere umano che è quella di instaurare e coltivare relazioni significative.
Naturalmente, l’alleanza terapeutica è considerata un fenomeno dinamico che vede la co-partecipazione di paziente e terapeuta e che può essere suscettibile di cambiamento nel corso del trattamento. In uno spazio interattivo, la diade terapeutica negozia rotture e riparazioni dell’alleanza. Si tratta di un vero e proprio processo di negoziazione nel quale le mancate sintonizzazioni, fisiologiche in qualsiasi psicoterapia così come in qualsiasi relazione significativa, diventano delle “finestre relazionali” sul funzionamento del paziente e quindi strumenti preziosi per promuovere il cambiamento. Del resto, le relazioni non son sempre rose e fiori e, come direbbe un grande maestro, “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior” (Fabrizio De André, Via del Campo, 1967).
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Bibliografia
Camaioni, L., Aureli, T., Perucchini, P., (2004), Osservare e valutare il comportamento infantile, Il Mulino, Bologna.
Lingiardi, V., Di Cicilia, G., (2019), La relazione terapeutica: quando una relazione diventa veicolo di cambiamento?, Quaderni di Psicoterapia Cognitiva, 45, pp. 101-118.
Schaffer, H., R., (1998), Lo sviluppo sociale, Edizione italiana a cura di Anna Oliverio Ferraris, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Tani, F., (2011), I legami di attaccamento fra normalità e patologia: aspetti teorici e d’intervento, Psicoanalisi Neofreudiana, 1, pp. 1-31.
Venuti, P., (2008), L’osservazione del comportamento, Carocci Editore, Roma.
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