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- Rabbia, maschera di altre emozioni
La rabbia è una delle emozioni primarie, tra le più intense e viscerali. Con un forte coinvolgimento del corpo, questa emozione si associa a reazioni comportamentali che variano di intensità, ma che risultano accumunate da aggressività e impulsività, generalmente percepite come negative o addirittura distruttive. Tuttavia, dietro questa emozione può celarsi una complessità ben più profonda: spesso, infatti, la rabbia nasconde altre emozioni, meno evidenti (ma non meno intense) o che facciamo fatica a elaborare nell’immediato e che, quindi, vengono esperite in modo automatico con una reazione di rabbia. Questo articolo esplorerà come e perché la rabbia nasconde altre emozioni, il motivo per cui tendiamo a non accettarla, e le strategie per gestirla e comprenderla meglio.
Cos’è la rabbia per la psicologia
Secondo le scienze psicologiche, la rabbia è una delle 5 emozioni primarie, insieme a gioia, paura, tristezza e disgusto: chi avrà visto il film d’animazione “Inside Out” conoscerà bene i volti di queste 5 emozioni di base, alle quali talvolta viene aggiunta una sesta emozione, la Sorpresa.
La rabbia è un’emozione che sopraggiunge a seguito di eventi scatenanti (o trigger) e che si esprime attraverso tipiche espressioni facciali e modificazioni fisiologiche: in particolare, comporta espressioni mimiche quali aggrottare le sopracciglia, stringere le labbra, scoprire o digrignare i denti; nel corpo si manifestano irrigidimento dei muscoli, diffusa sensazione di calore, irrequietezza e una modificazione del tono e del volume della voce. A livello fisiologico, viene coinvolto anche il Sistema Nervoso Autonomo sul versante Simpatico: con la rabbia, aumenta la pressione arteriosa, il battito cardiaco si fa più accelerato e vi è una maggiore irrorazione dei vasi sanguigni periferici, accompagnati da maggiore sudorazione.
Tutte queste reazioni sono finalizzate ad una prontezza di azione: difatti, la rabbia sopraggiunge quando viene compromesso il senso di giustizia. Difatti, ogni emozione è correlata ad aspetti cognitivi che ne motivano l’insorgenza: nel caso della rabbia, essa sopraggiunge quando sentiamo che qualcuno o qualcosa ci ha arrecato un danno valutato come ingiusto. In base alla percezione di ingiustizia e alla gravità del danno, si registrerà un’intensità emotiva diversa. Per quanto riguarda gli eventi trigger che favoriscono l’insorgenza della rabbia, si annoverano minacce all’autostima, rifiuto a richieste altrui, o cattivo funzionamento di oggetti necessari in quel momento. Appare chiaro, quindi, che la rabbia può essere diretta verso sé stessi, verso gli altri o verso gli oggetti, anche se va specificato che non è necessario che l’oggetto della rabbia corrisponda esattamente con la sua causa.
Concludiamo questa panoramica con le tre categorie di funzioni della rabbia identificate da Averill.
- Rabbia malevola: a seguito della rottura di una relazione o per motivazioni legate alla vendetta.
- Rabbia costruttiva: ha lo scopo di rafforzare la relazione o affermare la propria libertà per ottenere qualcosa dall’altro.
- Rabbia esplosiva: tipo di rabbia che riguarda meramente la manifestazione del proprio stato emotivo e ha come frequente conseguenza l’interruzione del rapporto.
Quando la rabbia nasconde altre emozioni
Come abbiamo già accennato, la rabbia non è sempre legata alle motivazioni scritte in precedenza. Spesso, infatti, essa è solo il modo più semplice e automatico di rispondere ad un evento triste, deludente o spaventoso. È quindi una maschera, uno scudo per altre emozioni che non sappiamo riconoscere, accettare o elaborare, solitamente paura, vergogna, senso di colpa, frustrazione, delusione e, soprattutto, tristezza. Basti pensare che, nei bambini piccoli, la depressione si manifesta proprio con attacchi di rabbia, che celano la tristezza che il bambino non è in grado di elaborare o esprimere. Quindi, in questi casi, la rabbia diventa una risposta difensiva, una sorta di meccanismo di protezione che ci aiuta a evitare il dolore emotivo associato a queste altre sensazioni.
Ad esempio, una persona può arrabbiarsi dopo essere stata criticata, ma la rabbia potrebbe nascondere un sentimento di insicurezza o di inferiorità. In un altro scenario, una reazione rabbiosa a una perdita potrebbe mascherare una profonda tristezza o un senso di impotenza. Spesso, ci troviamo più a nostro agio a mostrare rabbia piuttosto che vulnerabilità, perché la rabbia ci fa sentire più potenti e meno esposti.
Il meccanismo della rabbia come maschera si rivela sempre più automatico ogni volta che lo utilizziamo, finché non diventa molto difficile distinguere la vera emozione sottostante: difatti, se rispondiamo a qualunque evento negativo con rabbia, tenderemo a rimanere incastrati in questa emozione, non riuscendo a rispondere diversamente a eventi di vario genere. Ripetuti vissuti di rabbia, quindi, nascondono una profonda sofferenza interiore.
La complessità della rabbia come maschera di altre emozioni è ben illustrata dalle dinamiche delle relazioni interpersonali. In una relazione romantica, ad esempio, i conflitti rabbiosi possono celare sentimenti di abbandono o di paura del rifiuto. Infatti, nella maggior parte dei casi, le persone che si arrabbiano troppo e di frequente sono particolarmente sensibili alle esperienze di perdita, rifiuto e abbandono, e a ogni minimo segnale di rifiuto o disinteresse da parte di un altro individuo significativo risponderanno con rabbia, spesso rivolta a sé stessi e agli altri: tra i vari disturbi mentali, ritroviamo questo meccanismo nel disturbo Borderline.
Perché non accettiamo la rabbia
Se è vero che la rabbia è un’emozione a cui ricorriamo quando non siamo in grado di gestire altre emozioni prevalenti, è anche vero che accettare la rabbia non è una cosa facile. Sia per ciò che ci fa provare internamente, sia per le conseguenze che comporta, sia perché è un’emozione mal vista da un punto di vista sociale (soprattutto nelle sue manifestazioni principali), accettare la rabbia può essere difficile.
Se ci pensiamo, infatti, la rabbia è accompagnata da modificazioni interne al nostro corpo e ad agiti esterni spesso violenti e distruttivi: tutto questo non è piacevole da esperire e può comportare una sorta di timore verso i propri vissuti di rabbia. Inoltre, sin da piccoli ci viene insegnato che manifestare reazioni di rabbia particolarmente esplosive è sbagliato, perché segno di maleducazione, irruenza o addirittura inciviltà: c’è uno stigma da parte della società che ci insegna a provare un certo senso di colpa dopo che rientriamo da manifestazioni violente di rabbia. A tal proposito, è necessario sottolineare che, culturalmente, esistono delle differenze di genere riguardo al grado di accettazione da parte della società delle manifestazioni di rabbia: in moltissime culture, l’esplosione di rabbia è accettata maggiormente se messa in atto da un uomo piuttosto che da una donna. Infatti, per gli uomini può risultare un segno di virilità o di espressione di una naturale predisposizione all’aggressività (cosa, per altro, non vera), mentre nelle donne la rabbia viene associata a etichette di isterismo o eccessiva emotività.
Tutti questi fattori possono comportare la messa in atto di un particolare meccanismo di gestione della rabbia: la repressione, cioè mettere la rabbia sottochiave in un cassetto della mente affinché non si manifesti. Eppure, questo modus operandi non porta alcun beneficio, poiché la rabbia non sparisce mai del tutto ma anzi, se repressa, tende a aumentare sia di intensità che di durata nel tempo.
Come imparare a gestirla e comprenderla
E allora, come gestire la rabbia? Iniziamo col dire che imparare a gestire e comprendere la rabbia è un processo che richiede consapevolezza e pratica. Il primo passo è riconoscere la presenza della rabbia senza giudicarla, accettando questa emozione come una risposta naturale alle situazioni di stress o di conflitto.
Può essere utile, a mente fredda, cercare di esplorarne le cause sottostanti e, se presenti, le possibili emozioni che nasconde: inizialmente, questo lavoro sarà più facile una volta esaurito l’attacco di rabbia, ma con il tempo può diventare più facile far emergere la vera emozione nascosta dietro la rabbia anche nel momento di maggiore intensità emotiva. Per fare questo può essere utile sviluppare una maggiore consapevolezza emotiva, in primis attraverso una maggiore conoscenza di sé, esplorandosi in maniera sincera e non giudicante. Possono essere utili anche percorsi di meditazione o mindfulness, che aiutano a creare uno spazio di riflessione tra l’emozione e la reazione, permettendo di scegliere risposte meno impulsive o di posticipare la reazione a un secondo momento (che non significa sopprimere la reazione, ma ritardarla a un luogo e un momento più consono).
Esprimere la rabbia in modo sano, senza ripercussioni dannose per sé o per gli altri, è fondamentale. Esistono delle abitudini che nella vita quotidiana permettono di evitare l’accumulo di rabbia repressa, con la conseguenza di non esplodere in maniera eccessiva o disregolata nel momento di collera: queste attività includono un dialogo, con un qualcuno di significativo, circa le proprie emozioni, tenere un diario, o fare attività fisica. Si tratta di modi per rilasciare la tensione accumulata attraverso un’espressione verbale, scritta o fisica.
Infine, in ambito relazionale, è possibile agire sulla rabbia anticipando l’emozione e mantenendone un controllo sano, attraverso l’utilizzo di una comunicazione assertiva che spieghi i propri bisogni e limiti all’altro.
Quando la rabbia si manifesta in maniera frequente e spropositata può essere utile ricorrere alla psicoterapia, che può permettere di sviluppare strategie efficaci ad affrontarla. Ad esempio, la terapia cognitivo comportamentale è molto utile poiché interviene sulle valutazioni che regolano la rabbia: si lavora per ridurre la percezione di ingiustizia o l’entità del danno e del torto percepito.
La terapia può essere un supporto essenziale per comprendere e gestire la rabbia. Un terapeuta può aiutare a esplorare le radici profonde della rabbia e a sviluppare strategie per affrontarla. La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) è particolarmente efficace nel cambiare i modelli di pensiero che alimentano la rabbia e nel promuovere comportamenti più sani e costruttivi: si interviene per modificare i processi cognitivi e i comportamenti del paziente, focalizzandosi sul riconoscimento di bias cognitivi dannosi. Inoltre, viene insegnato al paziente a mettersi nei panni dell’altro, poiché questo ridurrebbe l’espressione della rabbia a livello comportamentale e la tendenza a reprimere negativamente la rabbia, sviluppando risposte più adattive alla sua risoluzione. Inoltre, si può operare identificando comportamenti alternativi da assumere quando si è arrabbiati o migliorando la regolazione delle emozioni e il loro riconoscimento.
La rabbia è un’emozione complessa e potente, e comprendere che può essere una maschera per sentimenti di insicurezza, paura, tristezza o frustrazione è il primo passo per gestirla in modo più sano e consapevole. La difficoltà nell’accettare la rabbia è radicata in stigmi sociali e paure personali, ma attraverso la consapevolezza emotiva, l’espressione sana e il supporto terapeutico, è possibile imparare a navigare questa emozione con maggiore equilibrio. Accettare la rabbia come una parte naturale della nostra esperienza emotiva ci permette di vivere in modo più autentico e di costruire relazioni più sane e soddisfacenti. Affrontarla non significa eliminarla, ma riconoscerla, comprenderla e utilizzarla come un’opportunità per crescere e migliorare il nostro benessere emotivo complessivo.
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Bibliografia
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Matarazzo O., Zammunner V.L; La regolazione delle emozioni, 2009, Il Mulino, Bologna.
Perdighe C., Gragnai A.; Psicoterpia cognitiva, 2021, Raffaello Cortina Editore.
Day, A., Howells K., Mohr P., Schall E., Gerace A.; The development of CBT programmes for anger: The role of interventions to promote perspective-taking skills, 2008, Behavioural and Cognitive Psychotherapy.
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